
L’uccello che girava le viti del mondo Murakami Haruki è in grado di creare mondi del tutto privi di punti di riferimento. E di rimanerci per dei mesi. Anni. Due ne sono serviti per scrivere “L’uccello che girava le viti del mondo”. Due anni in cui Murakami è rimasto seduto sul fondo di un pozzo freddo e buio. Non ci è rimasto proprio lui, naturalmente, ma ci ha fatto stare il suo protagonista, Okada Toru, un uomo sulla trentina senza alcuna dote particolare. Un uomo comune, di quelli che incontreremmo ogni giorno in metropolitana. Un uomo qualunque, sposato con Kumiko, la quale improvvisamente, dopo la scomparsa del loro gatto, scompare a sua volta. Okada Toru si ritrova solo, senza spiegazioni, dalla sera alla mattina. Da qui inizia una serie di incontri con donne piuttosto bizzarre. Kano Malta, una sorta di veggente che possiede molte risposte senza sapere il perché. La sorella, Kano Creta, aiutante di Malta e donna dalle tre vite che cambia in continuazione pelle, e con essa nome. Kasahara May, sedicenne in grado di mettere Okada Toru costantemente di fronte alle sue bizzarrie e alle sue inadeguatezze, neanche ne fosse la madre. Infine Nutmeg, elegante e raffinata miliardaria che si prende a cuore le sorti del giovane e vuole aiutarlo, pur senza sapere quali siano le sue reali intenzioni. Il lettore invece lo sa, quali sono le intenzioni di Okada Toru: ritrovare la moglie Kumiko. Ma il punto del romanzo, rettifico: i punti del romanzo sono altri. Certamente (parola che stona decisamente con l’atmosfera confusa, onirica e priva di riferimenti del romanzo) aleggia la mano del destino sulle vite di tutti i personaggi. Nessuno che sia in grado di determinare ciò che avverrà il momento successivo, né di comprendere il motivo delle scelte che di volta in volta vengono fatte. Tutto ciò fa molto parte di Murakami, che nell’atto stesso della scrittura utilizza il medesimo procedimento: mettersi alla scrivania senza sapere cosa scriverà. Il punto a cui sembra voler arrivare Murakami risiede nella costante presenza di qualcosa più grande di noi, che qualcuno chiama destino, che ci guida nella vita, al di là della nostra volontà e dei nostri progetti. Qualunque cosa sembra essere determinata da un lungo braccio che si protende da lontano “come se tutto fosse stato abilmente e meticolosamente programmato fin dall’inizio per portarmi dove mi trovo ora”, dice Nutmeg:
“La libera volontà degli individui era impotente. Agivano senza facoltà di scegliere, bambole posate su un tavolo che avanzavano in una direzione che non avevano scelto, la vite sulla schiena girata a fondo” Quella del libero arbitrio è solo un’esca per tenere buone le persone, e qui si esaurisce la portata del libero arbitrio secondo Murakami. I mondi, le dimensioni da lui disegnate sono talmente prive di punti di riferimento che Okada Toru sente il bisogno di scendere nel pozzo prosciugato del giardino di una casa abbandonata per riflettere e cercare di comprendere dove si trovi il punto di rottura che ha spinto la moglie Kumiko ad andarsene senza dare spiegazione alcuna:
“Dovevo pensare a cose più reali. Al mondo fisico, concreto. Per quello ero sceso lì dentro. Per pensare alla realtà. Perché mi sembrava che fosse più facile riflettere sulla realtà allontanandomene. Ritirandomi in fondo a un pozzo, per esempio. Quando bisogna scendere, meglio scendere nel pozzo più profondo” A guidare Okada Toru in fondo a un pozzo, e quindi in fondo a sé stesso, è il bisogno di concretezza. Perché i mondi di Murakami sono mondi dissociati. Sono dimensioni evanescenti, al cui interno le persone arrivano al punto di dubitare che la loro voce sia veramente loro, in cui la coscienza si stacca momentaneamente dal corpo, talvolta anche di proposito, come accade a Kano Creta quando viene stuprata dal cattivo di turno: impara a essere lì e allo stesso tempo a non esserci, per non sentire il dolore. “L’uccello che girava le viti del mondo” recide ogni residuo brandello di quell’ordine illusorio che l’uomo cerca di dare al mondo quando si convince che questo o quello sia successo perché così o colì. Le parole della sedicenne Kasahara May sono illuminanti:
“Dire ‘è successo questo a causa di quello’, è come mettere il riso con gli altri ingredienti nel forno a microonde, schiacciare il pulsante, quando il campanello suona aprire lo sportello, e tirar fuori la zuppa bell’e pronta. E la spiegazione dov’è? Quello che succede davvero da quando si schiaccia il pulsante a quando suona il campanello, non lo si può sapere perché il forno è chiuso. Può darsi che nel buio il riso senza che nessuno se accorga diventi prima un gratin di maccheroni, e poi torni di nuovo riso. Ma noi, quando il campanello suona, diamo per scontato che sia diventato zuppa. Però io penso che sia soltanto una presupposizione. Sarei più tranquilla se qualche volta, quando suona il campanello, aprendo trovassi un gratin di maccheroni. Naturalmente ne sarei stupita, però mi sentirei anche sollevata. Perlomeno non tanto confusa. In un certo senso mi sembrerebbe una cosa più reale”. E’ un libro carico di violenza, di dettagli cruenti. Ci sono il sangue, le botte, il dolore, alcune atmosfere inquietanti. Forse Murakami vuole rappresentare la forza dirompente che alberga nell’uomo, forse vuole solo sconvolgere ogni punto di riferimento, forse vuole bilanciare la carica introspettiva del romanzo - che punta molto verso il dentro dei personaggi - con qualcosa che punti verso il fuori. O forse vuole dirci che il mondo, la natura, l’essenza delle cose, sono fatti anche di questo. Sono qualcosa di multidimensionale, che vanno accettati per quello che sono.
Anche in questo romanzo, come in tanti altri di Murakami, sono presenti due dimensioni, due mondi tra i quali è pressoché impossibile comunicare se non per mezzo di qualche distorsione della coscienza. Il mondo del di fuori e il mondo del di dentro, e per trovare il passaggio tra l'uno e l'altro a Okada Toru non resta che isolarsi e rimanere con sé stesso e con l'essenziale che lo dimora. Un pò come quello che sta succedendo a tutti noi in questo periodo di reclusione forzata.
Perché non trasformarla in un'occasione per contattare chi davvero siamo?
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