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Quando il piacere diventa egoismo

Immagine del redattore: Claudio PederzaniClaudio Pederzani

Vladimir Nabokov - Lolita


“Non credo nella tua cattiveria, credo nelle tue ferite”, scrive Gio Evan.

Il lavoro più faticoso - il mio lavoro - è quello di mettere insieme questa verità con quello che di questa verità resta visibile. I gesti. Le azioni. Il dolore lasciato alle proprie spalle come le scie chimiche di giganteschi airbus.

“Lolita” ci fa intravedere un’altra oscurità.

“Lolita” fa male, mentre Lolita la bambina, stuprata, violata, costretta, manipolata, inseguita, picchiata, il male lo riceve e basta. Ma non è Lolita che parla, in “Lolita” parla il suo aguzzino, Humbert, mostrando tutto il suo interno, che mi ha spiazzato e confuso. Perché racconta il proprio vissuto in maniera così incensurata e franca, che bisogna fare uno sforzo per recuperare il fatto che sta parlando di una bambina. Dodici anni. Sottratta alla propria vita. C’è uno scarto netto tra ciò che Humbert prova e ciò che Humbert fa, uno scollamento doloroso, una disconnessione che Humbert non si impegna a recuperare, lasciandosi trascinare dalla propria meschinità e lussuria. Un aguzzino ossessionato dal suo oggetto, proprio come lo è Antonio Dorigo dalla Laide in “Un amore” di Buzzati. Ma se l’ossessione si getta impetuosa su un’entità indifesa, non del tutto in grado di comprendere e decidere, quanto vale appellarsi - come fa il meschino Humbert - alle usanze di altri tempi e altre culture in cui era lecito agire tale ossessione? E’ più importante ciò che è stabilito dalla legge o ciò che viene gridato dal dolore di una persona? Apartheid, schiavitù, pederastia, (im)migrazione come reato. E’ sempre esistita, in qualche epoca o civiltà, una legge che ne permettesse il mantenimento. E la nostra epoca non è da meno. Ma non sempre un precedente è una legittimazione. Il problema è che, anche in assenza di leggi ignominiose, gli oppressori hanno sempre escogitato teorie assurde pur di riuscire a illudersi di non opprimere gli individui su cui esercitano il loro dominio.


Scrivevo che “Norwegian wood” di Murakami è un libro che può far male.

Beh, “Lolita” fa male.

Fa male l'egoismo del piacere di Humbert, cieco a tutto ciò che non sia "io".

Humbert si, lui diventa cattivo. E lo fa due volte: quando costringe Lolita, la prima, e quando se la racconta, la seconda. Humbert diventa tutto quello che ognuno di noi può diventare appena compiamo un'azione senza voler riconoscere le nostre responsabilità, nascondendoci dietro coltri di giustificazioni e negazioni.

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