
"Uomini e topi" di John Steinbeck
George e Lennie sono due braccianti stagionali che, nel periodo della Grande Depressione seguita al crollo della borsa di Wall Street nel 1929, vagano per la California alla ricerca di un ranch in cui lavorare. Quando finalmente trovano un posto in cui prestare servizio vi si fermano, e qui avrà luogo la loro intima tragedia.
George è un ometto dall’intelligenza acuta e dalla parola tagliente, mentre Lennie è un omone buono ma goffo, una sorta di John Coffey, l’imponente uomo destinato al braccio della morte ne “Il miglio verde”. I due sono legati da una profonda e umana amicizia, dotata di un’intimità struggente, fatta di poche parole affettuose e una gestualità commovente, come solo due uomini sanno instaurare. Condividono un sogno, quello di possedere un fazzoletto di terra per vivere dei suoi frutti, senza più dover dipendere dagli ordini di un padrone spesso cinico e meschino, quando non manesco. E’ un rapporto dotato di una certa asimmetria, sbilanciato tra la fervida intelligenza di George e l’immensa stupidità di Lennie, che non muove un muscolo senza l’approvazione di George e senza il quale si sentirebbe perso e verrebbe forse rinchiuso in un manicomio. Ma è allo stesso tempo estremamente simmetrico, di una reciprocità disarmante nella loro diversità, quella reciprocità data dall’affetto, dal semplice trascorrere del tempo insieme, condividere speranze ed esperienze e, di conseguenza, conoscersi. Talmente forte è ciò che li lega, che George prenderà una decisione difficile, che va oltre il concetto di giusto e sbagliato per dimorare nel territorio di ciò che è umano, seppur nella sua straziante manifestazione. Perché è vero che George non ci crede quanto Lennie nella promessa di una terra tutta per loro, è vero che glielo racconta solo perché l’amico ci crede. E’ vero che George potrebbe spendere i suoi guadagni da bracciante in una sala da biliardo o in un bordello se non ci fosse Lennie a cui badare. Ma è proprio questa la potenza del loro legame: George tiene insieme Lennie, altrimenti dimenticato in un manicomio o in qualche gattabuia e Lennie tiene insieme George, altrimenti facilmente corruttibile dalla perdizione del piacere e del divertimento.
Aspiriamo alla libertà, a quella strana e illusoria idea di libertà come vita senza vincoli e responsabilità, salvo poi non sapere cosa farcene di una simile condizione priva di quel nutrimento essenziale dato dal volersi bene, dallo stare vicini.
“Noi ci abbiamo l’un l’altro, ecco a chi importa un fico secco di noi”.
Steinbeck non mette in bocca le parole che sono il cuore di questa storia al tipo scaltro e intelligente. Lascia che sia lo stupido a pronunciarle, quello che non capisce nulla col cervello. Ma sono parole che dette col cervello non fanno che paura. Dette col cuore è un’altra cosa, e Lennie ha nel cuore quel che nel suo piccolo cervello non ci sta.
In un mondo in cui il mito di Narciso ha sostituito quello di Edipo, in cui gli imperativi sono il successo e il freddo riconoscimento dei tanti, queste parole suonano stranamente rivoluzionarie quanto la non violenza di Gandhi.
Ma George e Lennie sono solo due poveri uomini qualunque, e la loro umanità non basta a salvarli dalla crudeltà di un mondo dominato dalla paura reciproca, alla quale questi due Don Chisciotte cercano inutilmente di opporsi.
George e Lennie recuperano quel che questo mondo ci fa dimenticare, l’importanza di un legame umano, semplice e forte.
Era il mondo che Steinbeck denunciava nel 1937, ma ancora oggi molte persone chiedono aiuto, confuse e disorientate, non più in grado di trovare la bussola dell’umanità.
Stay human, ripeteva sempre Vik.
Comments