
"L’animale morente" di Philip Roth
Il sesso era già stato affrontato in maniera molto esplicita in “Lamento di Portnoy”, scritto all’età di 36 anni, nel 1969. Certo, la rivoluzione sessuale deve averlo aiutato ad affrontare il tema in maniera così franca, priva di inibizioni, ma Roth si è mostrato certamente molto ricettivo a quanto stava accadendo nel mondo in quegli anni. Ad ogni modo, come già scritto nel precedente post, con “Lamento di Portnoy” Roth affronta la vita di un uomo che restringe la propria vita al sesso, un uomo inquieto, articolato, cresciuto nei divieti, nelle inibizioni senza significato, nelle paure e nei conflitti familiari. Un uomo che si perde nel sesso quando la sola cosa che vorrebbe è una moglie e dei figli: una famiglia per la quale, però, si rende necessario un sentimento di fiducia e stima verso di sé.
Tutt’altra cosa è affrontare la medesima tematica - il sesso, appunto, e nella stessa molto esplicita maniera - all’età di 68 anni, come fece con “L’animale morente”, scritto nel 2001. In cui, peraltro, il messaggio veicolato sembra piuttosto differente, quasi ribaltato. Non è più l’uomo che brama la famiglia ma si perde nel sesso per paura, quanto l’uomo che brama il sesso ma si perde nella famiglia per paura.
Roth affronta il sesso nella sua componente più radicalmente sconveniente: la lussuria, mascherata da interminabili veli di parole e gesti, che non vanno confusi con la seduzione poiché servono solo a nascondere l’impulso, che è cieco. E di questo impulso si parla, del suo essere selvaggio e sfrenato.
“E’ del caos dell’eros che parliamo, di quella radicale destabilizzazione che è il suo eccitamento. In materia di sesso, è un tornare nella foresta. Un tornare nella palude. Uno scambio di dominio, uno squilibrio perenne, ecco di che si tratta”
David Kepesh, illustre intellettuale e docente universitario, dopo un primo matrimonio non meno spiacevole della vita delle reclute in un campo di addestramento, decide di non vivere più in gabbia, complice la rivoluzione sessuale di quegli anni. Decide di conquistare la propria libertà. Ma è una libertà ragionata, conquistata con la riflessione necessaria a un uomo di trentasei anni, assai diversa da quella inconsciamente subita, sregolata e scontata di coloro che la stavano portando avanti, i suoi studenti universitari. David decide di ribellarsi ai vincoli dettati dall’epoca in cui è nato e dalla famiglia in cui è cresciuto. Tutto finalizzato al piacere, imponendo alla sua indipendenza il minor numero di restrizioni possibile.
Del resto, David sembra affascinato dalla duplicità dell’essere umano, dal fatto che ogni persona nasconde un lato di sé, con l’arduo compito che da ciò deriva: accettarlo. L’amico e poeta George O’Hearn non ha avuto difficoltà: si sente puro solo nelle trasgressioni, il suo lato ubbidiente lo fa stare male. E ha chiaramente deciso da che parte stare. Chi non si è deciso, paralizzato dalla novità della difficile situazione in cui si trova, è il figlio Kenny, la cui idea di sé stesso come persona retta e puntigliosa è stata minacciata da una donna che non è la moglie. E più il padre lo incoraggia a modulare quell’idea di sé come persona retta e puntigliosa, a temperarla un pò, più il figlio va in bestia, pur non riuscendo a decidere da che parte stare.
Il rapporto con il figlio, del resto, è tormentato, molto simile a quello tra il padre Karamazov e i tre figli: lui scellerato dilapidatore di patrimoni genetici, il figlio attento e scrupoloso uomo che rivendica la propria vittoria morale sul padre, responsabile - con le sue deficienze, e di ciò consapevole - delle sofferenze del figlio. E ciononostante, David lo deride, poiché a quarantadue anni Kenny rimane aggiogato all’esistenza del ragazzo tredicenne abbandonato dal padre, scappato con l’amante, e da essa ancora tormentato. Un figlio artefice e schiavo delle proprie sofferenze:
“vivendo in un paese come il nostro, i cui documenti più importanti sono tutti sull’emancipazione, tutti tesi a garantire le libertà dell’individuo, vivendo in un sistema libero che è sostanzialmente indifferente a come ti comporti purché il tuo comportamento sia lecito, l’infelicità che ti arriva ha molte probabilità di essere autoprodotta”
Ed è proprio questa rinuncia volontaria alla propria libertà a rendere Kenny ridicolo agli occhi del padre, secondo cui, invece, “chi è libero può essere pazzo, stupido, ripugnante, infelice proprio perché è libero, ma non è ridicolo”.
David vede il matrimonio come vita inevitabilmente priva, prima o poi, di sesso. E questo per lui è inconcepibile, giacché il sesso rappresenta qualcosa in cui “sei più nettamente vivo e più nettamente te stesso […] si radica nel tuo essere fisico, nella carne che nasce e nella carne che muore […] Non è semplice frizione e divertimento superficiale. Il sesso è anche la vendetta sulla morte”.
Già, la morte. “L’animale morente” è anche un libro sulla vecchiaia, sulla morte. Roth sessantottenne probabilmente inizia a sentirne l’odore e trova nel sesso il suo antidoto migliore, seppur limitato.
“In ogni persona calma e ragionevole si nasconde un’altra persona che ha una paura matta della morte”
Probabilmente parla di sé. E va ricercata proprio qui l’origine della sua ossessione per Consuela Castillo, la studentessa ventiquattrenne per la quale - dopo quella prima schiavitù matrimoniale - perde la testa, dalla quale è ossessionato.
“Questo bisogno. Questa follia. Non avrà mai fine? Dopo un pò, non so nemmeno io qual è la causa della mia disperazione. Le sue tette? La sua anima? La sua giovinezza? La sua semplicità? Forse è peggio di così: forse, ora che mi sto avvicinando alla morte, anch’io segretamente desidero non essere libero”
E’ su tutto questo che David si vendica con il sesso.
Non è un libro sul sesso. E’ un libro sulla morte.
E se è vero quello che scrive Lao Tzu:
Ciò che alla fine va ristretto
Deve prima essere esteso.
Ciò che va indebolito
Deve all’inizio essere rafforzato.
Ciò che va rovesciato
Deve all’inizio essere drizzato.
Colui che vuole prendere
Deve cominciare a dare.
Ciò viene chiamato “offuscare” la propria luce
Dicevo, se è vero quello che scrive Lao Tzu, chi è bloccato con la sessualità o con la propria vecchiaia potrebbe fare esperienza de “L’animale morente”.
Giacchè, come insegna Sheldon Kopp, celebre psicanalista, “quando il paziente dice di sentirsi bloccato e confuso […] se si abbandona profondamente all’esperienza di essere bloccato, allora soltanto recupererà quella parte di sé stesso che lo trattiene”.
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