
Philip Roth - Pastorale americana
Nathan Zuckerman, scrittore di successo, partecipa ad una apparentemente bonaria riunione di ex allievi, osservando con distacco e poi disgusto e poi commiserazione gli impietosi scherzi che i nostri corpi si divertono a fare nell’instancabile tentativo di non mentire mai su ciò che inesorabilmente passa, nonostante tutti i nostri sforzi e le fatiche e i patrimoni dilapidati per opporci a questo scorrere infinito e completamente al di là delle nostre capacità di controllo, che ci spaventa e ci angoscia. A quella festa Zuckerman sembra poter vedere quel che si cela dietro le commedie che ciascuno di noi recita per mentire agli altri ma prima di tutto a sé stesso. E comprende che “anche da un festa così bonaria come una riunione di ex allievi non è tanto facile tornare di colpo a un’esistenza con gli occhi coperti dalla benda della continuità e della routine”.
Ancora una volta, all’età di 64 anni (siamo nel 1997) Philip Roth sta parlando, per tramite di Nathan Zuckerman, “della morte e del desiderio di prevenire la morte, di resisterle, di ricorrere a tutti i mezzi necessari per vedere la morte con tutto, tutto, tutto tranne chiarezza”. E sta parlando, per tramite di Nathan Zuckerman, che a sua volta lascia il campo allo Svedese Seymour Levov, idolo della sua infanzia e dell’infanzia di tutta Weequahic, del sempiterno desiderio umano di sfuggire a tutto ciò che è sconnesso, speciale, imprevedibile, irregolare, difficile da valutare o da capire, di evitare tutto ciò che è causa di turbamento e disequilibrio, che crea opposizione e contrasto, nel tentativo di procedere silenziosamente attraverso una vita prevedibile, controllabile, manipolabile, sicura.
Ma la vita non è così. E lo Svedese lo scopre inaspettatamente, proprio come sempre si manifesta la Storia, all’improvviso e senza preavviso, in un qualunque giorno dal cielo grigio o accecante di calore, con un evento che semplicemente accade. La figlia balbuziente e ribelle, ironicamente Merry - cioè gioiosa, quando gioiosa non è - fa scoppiare una bomba nello spaccio del piccolo paese, uccidendo una persona. Merry, con quel suo gesto, si oppone a tutti i valori incarnati dal padre, vi si oppone prima di comprenderli, vi si oppone osservandoli con superficialità.
Per lo Svedese, che ha votato la propria esistenza alla responsabilità e al senso del dovere, alla condiscendenza rispettosa, al buonsenso e al senso della misura per non cedere mai all’ira, la vita di prima all’improvviso si dissolve. La vita controllata, posata, sicura non esiste più e cede il passo a ripensamenti e riflessioni senza sosta, nella speranza di trovare la propria responsabilità nel dissennato gesto della figlia, nell’incomprensibile sofferenza che vi si nasconde, nel tentativo di comprendere che cosa - forse quel bacio innocente, forse tutto quel rispettoso spazio concesso alle estreme opinioni della figlia, forse tutte quelle terapie per la balbuzie - abbia causato la rovina della famiglia. Rimane il goffo tentativo dello Svedese di comprendere quella ragazza - che per cinque anni scompare nella sua latitanza, governata dai propri estremismi - e di aiutarla.
Pastorale americana mette a nudo gli estremismi umani, le posizioni monodimensionali, prive di sfumature, di spazi di incoerenza e che, paradossalmente, collassano su sé stessi poiché non più in grado di reggere il peso della coerenza. Forse è la natura umana, così corrotta, articolata e incoerente, a non poter reggere il peso di un estremismo che, in un modo o nell’altro, porta a una rottura. Come un materiale rigido, senza spazio di flessibilità, prima o dopo si spezza, così gli estremismi umani, privati di qualunque possibilità di compromesso, prima o dopo si spezzano e vanno in frantumi. La vita dello Svedese, votata all’estremismo del buonsenso a tutti i costi, va in frantumi. La vita di Merry, votata alla ribellione in ogni sua forma - prima violenta, con lo scoppio della bomba, poi nel polo opposto della santità, abbracciando il giainismo - va in frantumi.
Nathan Zuckerman, ancora alla rimpatriata degli ex allievi di cinquant’anni prima, scompare volontariamente dalla scena per raccontarci non più della sua vita ma di quella dello Svedese, raccontandoci attraverso la sua esistenza quella di un’epoca, di un ideale americano, di un eterno affanno umano. L’infinita fatica alla ricerca del controllo e l’inconsapevole battaglia, persa in partenza, per la sconfitta, o quantomeno l’oblio, della morte.
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