
"Il giro dell'oca" di Erri De Luca
In una notte solitaria, una delle tante, una di quelle piene di pensieri e ricordi mai successi, Erri vede davanti a sé, seduto insieme a lui al tavolo, il figlio che non ha mai avuto. Come Geppetto con Pinocchio, creato da legno e scalpello, Erri crea suo figlio da carta e parole.
E gli si racconta.
Gli racconta di come abbia deciso di andare via, partire per costruirsi una vita lontano dalle sue origini, come atto di libertà.
Ripetiamo, di questi tempi è molto importante:
Di come abbia deciso di andare via,
partire per costruirsi una vita lontano dalle sue origini,
come atto di libertà.
Libertà agita sin da bambino, quando si sottraeva alle cerimonie che troppo spesso lo facevano sentire a disagio. Gli racconta di come fatichi a comprendere le nuove generazioni, dalle quali si aspetta un’arroganza nuova e verbi all’imperativo, comandati dal fare senza spazio per un’emozione. Lui che il fare, quello manuale - il lavoro di operaio -, l’ha usato per dare peso e concretezza alla sua vita, al proprio percepirsi uomo d’aria. Uomo d’aria che ha a che fare con le parole, mezzo senza il quale si sbatte contro i muri senza nemmeno potersi preparare all’urto. Mezzo che rende più prevedibile l’impatto, che ci permette di vedere bene, come gli occhiali per il miope. Senza inventare niente. La realtà non cambia solo perché la vediamo meglio. Ma se la vediamo meglio possiamo cambiare noi. E allora Erri si racconta nel suo essere trasformatore di vite attraverso le parole, non per ridurre quanto per dare peso e intensità, come una camera di compressione.
Parla di fede con suo figlio, parla di verità, di come si manifesti irruente, inverosimile, sgradevole, scandalosa, inattesa, imprevedibile.
Gli parla di tutte le vite che ha avuto e di quelle che avrebbe potuto avere ma non ha avuto.
Gli racconta di come abbia accettato di vivere il suo giro dell’oca, con il corpo che gli è stato concesso, che lo ha spostato di casella in casella seguendo le istruzioni di un dado lanciato. Se li è ritrovati, quel corpo e quel dado, ma insieme si è ritrovato anche la libertà di averlo in pugno e poter scegliere se lanciarlo o no, quel dado.
Un libro intimista, introspettivo, che - come ogni forma di terapia - si guarda dentro per buttare fuori.
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